Recentemente, tra le norme del decreto Milleproroghe, varato dal governo Meloni, non si può non rimarcare quella che dà la possibilità ai medici convenzionati con il SSN di posticipare la data del pensionamento al 72esimo anno di età.
Riguarda in particolare i medici di famiglia e i pediatri, ma anche docenti universitari di medicina e chirurgia. Il provvedimento, con validità fino al 31/12/2026, è stato fermamente contestato dalle sigle sindacali più rappresentative dei medici e dei veterinari. L’Anaao Assomed Aaroi-Emac, la Fassid, la Fp CGIL medici la FVM e la Cisl Medici hanno fortemente contestato il decreto che non serve a “trovare una soluzione definitiva alle criticità del SSN e appare piuttosto come una protezione e un foraggiamento delle lobbies e classi di potere”.
Il presupposto delle norme governative trova riscontro nel depauperamento della classe medica ed in particolare nel fatto che dei 60000 medici interessati, la metà è ultrasessantenne e suscettibile quindi a presentare domanda di messa in quiescenza tra pochi anni. Un altro aspetto da considerare è quello che, già da qualche anno ma accentuato indubbiamente dal periodo della pandemia da COVID-19, alcune specializzazioni come medicina e chirurgia d’urgenza, anestesia e rianimazione, microbiologia, radioterapia, non hanno assegnato tutti i posti disponibili delle scuole di specializzazione per un probabile eccesso di carichi di lavoro di queste categorie, a fronte di una scarsa gratificazione economica.
Un’ulteriore considerazione è rappresentata dal fatto che circa 3000 medici all’anno lasciano il SSN o addirittura l’Italia per approdare in paesi più attrattivi professionalmente ed economicamente rispetto al nostro.
È auspicabile che, nell’interesse di tutti, sia pazienti sia camici bianchi si trovi una soluzione soddisfacente evitando di smantellare un SSN che è sempre stato invidiato e preso ad esempio da molti Paesi europei.
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